Ice tyres, ovvero:
Quando il gioco si fa duro.
Sono le sei di mattina mi sto preparando per uscire, ma prima di iniziare la vestizione, faccio un ultimo disperato tentativo. Prendo il telefono e compongo un lunghissimo numero, per l’esattezza un prefisso intercontinentale, è l’ultima carta che mi rimane, e sono veramente disposto a tutto. A Langley in Virginia è da poco passata la mezzanotte.
Ho un contatto laggiù, un ex agente della C.I.A. conosciuto in tempi oramai lontani e leggermente più vivaci degli attuali, al quale in più di una occasione ho chiesto favori di tale portata. La richiesta è di natura riservata, di quelle che sulla cartellina hanno stampata la dicitura “classified.” Ed effettivamente l’informazione che cerco è nota solo a pochissime persone al mondo, talmente poche che si possono contare sul palmo di una mano.
Ci sta lavorando da un po’ di tempo. Anche lui a sua volta sfruttando vecchie amicizie del mestiere. Mossad, F.S.B. Mukhābarāt MI 6, e una altra mezza dozzina di servizi segreti sparsi sul pianeta.
Quest’anno è stata veramente dura e spero che almeno quest’ultimo stratagemma porti i suoi frutti. Ma quella che mi risponde dall’altro capo del telefono, è una voce dimessa, una voce triste e sconsolata, la voce di un uomo che forse per la prima volta in tutta la sua vita, ha conosciuto il significato della parola la sconfitta.
Niente, non si è saputo niente, mezze frasi, sottintesi, allusioni, vaghi accenni, ma sulla vera destinazione dell’ Ice Tyres è buio totale, un protocollo che sembra inesistente. Il Lupo per questa
“operazione” ha deciso di impiegare il miglior agente della sua fantomatica organizzazione l’ R.M.C.O.
Stiamo parlando di una Leggenda nell’ambito dell’Intelligence e la sua scelta, qualora ce ne fosse stato bisogno, ha confermato pienamente l’altezza dell’acume di cui è dotato. Bob… il suo nome è James Bob. Nome in codice 009076, e come ben saprete il doppio zero davanti al numero distintivo, ricopre
un tetro significato, è lì ad indicare la licenza di uccidere. E uno così non parla nemmeno sotto tortura. Pazienza, affronterò l’incognito con stoica rassegnazione.
Oggi godo di una postazione d’onore, nella formazione di viaggio sono il terzo. In testa c’è l’Head 009076, alla sua destra c’è “Lui” e subito dietro James Bob ci sono Io, fico, avrò l’opportunità
di vederli all’opera. Poca, pochissima autostrada, ed inizia l’avventura. Sul meteo c’è poco da dire, sarà pessimo come naturalmente la stagione comanda, freddo, pioggia e vento.
Quindi, con questi presupposti climatici, appare più che ovvio, che noi , come da tradizione ben consolidata, ci andiamo a mettere nell’occhio del ciclone. Cominciamo a salire. Un accenno di fondovalle, fra curve e strade che costeggiano boschi già verdeggianti e animosi ruscelli, poi la pendenza si inclina verso l’alto, l’aria se possibile si fa ancora più pungente, le curve diventano tornanti i boschi foreste il cielo più scuro, e… e ci siamo solo noi. Facciamo il Valico dello Spino, per capirci, quello che sale fino allo storico Santuario di Chiusi della Verna, uno dei luoghi più rilevanti del monachesimo Francescano, edificato nella prima metà del XIII° secolo sul monte Penna a 1.100 metri di altezza.
Qui la tradizione vuole che il “Poverello di Assisi” abbia chiesto in preghiera, la possibilità di condividere i dolori della Passione di Cristo, ed ottenuto per volere Divino le Stigmati.
Siamo immersi nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, circondati da Abetine secolari, Faggi, Aceri montani, Olmi ,Frassini, Tigli e quant’altro questa generosa e molteplice flora possa offrire. Purtroppo il cielo cupo smorza i colori di cotanta meraviglia, togliendoci così la possibilità di godere appieno questo miracolo della natura.
La guida si fa impegnativa, James affronta curve su curve con maestria, è nel suo elemento, e la nonchalance apparente, rivela tutta la sua esperienza. Io dal canto mio cerco di stare dietro ad entrambe, a quello davanti e… a “Lui” che imperterrito procede, sicuro sul percorso, come un treno sulle rotaie. La storia prosegue per svariate ore, il gruppo si inerpica e ridiscende, poi sale di nuovo e torna ancora verso il basso, formando in questi movimenti, onde simili a quelle di un immaginario elettrocardiogramma.
O forse di quello che realmente il nostro cuore sta provando. Finalmente la sosta per il pranzo, dopo sei ore di guida siamo ancora fra la provincia di Arezzo e quella di Firenze, palesemente tutti più confusi di prima. Dove stiamo andando? La pioggia che fortunatamente ci ha risparmiato la sua presenza, dove avrebbe sicuramente creato ulteriori difficoltà, cessa la sua clemenza ed inizia a cadere con una certa intensità. Ci fermiamo ad un piccolo bistrò per un piatto di pasta e dopo un attimo siamo già alla ripartenza. Ci guardano come fossimo marziani, intercetto un veloce scambio di opinioni fra due dipendenti del posto, due ragazzi sulla trentina. Ovviamente in toscano. L’uno sorridendo dice all’altro, riferendosi alla pioggia che nel frattempo si è fatta molto più consistente “un lo farei neanche pagato, questi son pazzi” il secondo tacitamente acconsente e nel farlo indica una figura sopraggiunta in quel
momento.
Una cascata di capelli argentati “Lui” sta indossando il giaccone, lo guarda e mi domanda “quanti
anni ha quel signore lì?” ci penso un solo un attimo e rispondo “quelli che la sua passione gli concede.” E via verso l’ignoto. Seguirà, e lo saprò solo dopo, un altra abbondante porzione di Appennino, poi finalmente a Barberino rientriamo in autostrada, superiamo Bologna e svoltiamo in direzione Venezia.
Strada e ancora strada e ancora strada, pian piano si comincia a delineare una ipotesi di destinazione, fino a quando compare il cartello che indica l’uscita per Chioggia, noi svoltiamo lì. Nel frattempo ci siamo
sorbiti una quantità indefinita di acqua ed ancora non è finita.
Ci avviciniamo alla città e gli ultimi 50 kilometri sono una vera e propria tortura. Stanchi, bagnati e infreddoliti ci troviamo a percorrere un terrapieno asfaltato che fa da argine al Brenta. Stretto, senza illuminazione senza indicazioni, senza linea di mezzeria, a sinistra il fiume, a destra un fosso profondo, ogni volta che incrociamo una macchina è una scommessa. Non vorrei che James Bob abbia preso troppo sul serio la sua “licenza di uccidere” decidendo così di sfoltire i ranghi del Roma Chapter… Non posso chiudere il casco che altrimenti si appannerebbe, e l’acqua entrando riduce ancor più la visibilità, percepisco vagamente avanti a me l’immagine dell’Head e adesso, anche con un po’ di stizza, la sagoma di “Lui” che guida tranquillamente come stesse andando a comprare le sigarette.
Alla fine arriviamo in albergo, il tempo di prendere la chiave e via, subito sotto una doccia bollente alla quale concedo una durata tripla rispetto a quella abituale. La stanza è calda ed accogliente e la struttura superlativa, non commetto l’errore di appoggiarmi sul letto, sarebbe fatale.
Momentaneamente ristorato decido di scendere al bar per bere qualcosa, ed è lì che lo vedo. Seduto su una comoda poltroncina, si sta godendo la sua vittoria. Dopo 13 ore di moto con un clima da cani, senza far trapelare il segreto, senza perdere mai, o quasi mai la bussola, rispettando pienamente la tabella di marcia, ci ha portato tutti a destinazione. In mano una coppa contenente un liquido trasparente, suppongo sia un Dry Martini ovviamente agitato non mescolato. Il suo nome è Bob….James Bob, al
servizio di sua maestà l’Original.
A seguire una pantagruelica cena. Raffinata e curata nei minimi particolari, che ripaga pienamente tutti gli sforzi compiuti e riconcilia col prossimo, poi tutti a nanna, abbiamo ancora due giorni pieni da affrontare. Il sole nuovo ci vede provetti marinai, a bordo del Bragozzi Ulisse, l’organizzazione prevede una rilassante e istruttiva gita sulla Laguna di Chioggia. I famosissimi allevamenti di mitili locali, le fortificazioni marine poste a difesa del territorio, il mercato del pesce, la città vecchia, il porto turistico e industriale, insomma tutto quello che si può vedere solo dal mare.
Si rientra, un saluto al Capitano e siamo di nuovo in sella. Questa volta sappiamo dove siamo diretti, ricorre il XXII° anniversario della nascita del Riccione Chapter, perciò ancora mare. Il viaggio a confronto di quello effettuato il giorno precedente, risulta poco più di una passeggiata. La pioggia prova ad infastidirci, ma oramai siamo temprati. Un pit stop in piadineria e nelle prime ore del pomeriggio siamo in concessionaria. L’accoglienza è quella tipica Romagnola, calda affabile e sorridente, l’occasione giusta per rivedere amici lontani tra baci abbracci e qualche bicchiere di birra, ci fermiamo un’oretta dopodiché riprendiamo la strada per l’Hotel.
C’è la SPA con l’idromassaggio, anche questo si rivela un Residence di eccellente caratura, il 2024 inizia all’insegna del lusso sfrenato. Camera con vista mare, balconcino privato e sdraietta relax, piccoli dettagli rivelatori dell’accuratezza con cui veniamo trattati.
Si fa una certa e raggiungiamo il Club dove si svolgerà la festa, l’affluenza è imponente, siamo più di 600 persone, sembra di stare al Faaker. Prendo posto ad uno dei tavoli che ci hanno riservato e “Lui” si siede davanti a me, iniziamo a chiacchierare e mi domanda se ho già in mente qualcosa da scrivere su questa nostra attuale avventura.
È totalmente a suo agio scherza e ride, sembra che gli ultimi due giorni li abbia passati leggendo Čechov e ascoltando Chopin. Devo confessarlo, in quel preciso momento capisco che la vita mi ha fatto un altro di quei piccoli doni, che soltanto la giusta attenzione riesce a captare, quindi per gratitudine rispondo che si, qualcosa in testa già ce l’ho, non gli dico però che in parte lo riguarda.
Si mangia di qualità e si mangia in abbondanza, la festa va avanti fra balli e cori, la gente si diverte e fa baldoria, e questo nostro piccolo mondo, per un attimo, ci insegna che anche se la felicità è un illusione, lo star bene è solo questione di buona volontà, basta alzarsi dal divano. Non sono un viveur alla fine del pasto saluto cordialmente i commensali e vado via, ho un appuntamento con Morfeo.
Una tonificante passeggiata sul lungomare immerso nelsilenzio, proprio quello che ci voleva, effetto dell’età, la mancanza di rumori mi fa sempre più piacere, buonanotte.
Borse preparate, colazione e pieno anche, oggi si rientra speriamo in un po’ di sole, gli ultimi accorgimenti sul percorso, che sicuramente non sarà lineare, e via. Si prende l’autostrada ma è solo un’illusione, dall’Emilia entriamo nelle Marche, giusto qualche kilometro e poi usciamo, mi pareva strano. L’Apecchiese è una strada interregionale che congiunge le Marche con l’Umbria, nasce nel centro abitato
di Città di Castello e si propaga per un buon tratto nella Val Tiberina, la scelta come al solito è azzeccata, strada panoramica relativamente veloce, con la giusta dose di curve, e alla bisogna si può sempre salire.
La formazione procede compatta, finora, e oramai per più di 1.000 kilometri, non una sbavatura non un eccesso, non una svista, bravi, complimenti. Trampa possiede solo uno zero davanti al suo numero, lui protegge non elimina, più di qualcuno di noi deve alla sua opera la propria “salvezza.”
Questo però non implica il fatto che all’occorrenza non possa diventare anche pericolosamente ed estremamente convincente. In fondo, dietro a Tutti, Simone, Sandro, Manuele, ed un altro manipolo di Road si occupano della copertura, servirebbe una ripresa dall’alto per capire come le dinamiche dell’incedere siano rigorosamente rispettate.
Avevo detto che saremmo saliti e così accade, un piccolo cartello stradale indica l’uscita per un paesino sconosciuto ai più, ma che una volta raggiunto, dopo qualche kilometro di curve e tornanti, ci regala una vista mozzafiato sul Lago Trasimeno. Il paesino si chiama Tuoro e dalla sua seppur modesta altezza, offre veramente una panoramica di notevole intensità.
Proseguiamo verso Castiglion del Lago dove faremo una breve sosta per il pranzo. Siamo oramai in prossimità di casa e onestamente dopo due giorni di abbondanti libagioni mi impongo di saltare il pasto. Una decina di persone ha preso la mia stessa decisione e rimane ai margini del paese, vicino le moto a chiacchierare e a fumare una sigaretta. Poi Pierino esordisce con un “ragazzi Io approfitto per rientrare un po’ prima” non c’è bisogno di dire che colgo l’occasione al volo. Non è mancanza di rispetto ma anticipare anche solo di un paio di ore, mi consente di organizzare meglio gli impegni che avrò al rientro, i ragazzi li rivedrò mercoledì in Club House.
Rimangono poco più di un centinaio di kilometri con Pierino ci siamo salutati ad Orte, Io rientro dalla parte del mare e così l’ultimo tratto lo faccio da solo, in compagnia delle solite considerazioni che opero in questi momenti. Una tre giorni piena ed impegnativa, organizzata magistralmente dai Soliti Noti, carica di emozioni e di divertimento che alla fine conterà 1.350 kilometri fatti per la maggior parte in condizioni relativamente disagiate. Chi ringraziare per tutto questo lo sappiamo bene, e lo facciamo con gratitudine. Un ringraziamento va anche a Tutti i partecipanti che si sono dimostrati pienamente all’altezza del compito da svolgere.
Non dovrei dirlo, ma sono stanco, questa affermazione esalta forse la mia condizione umana ma svilisce
malignamente il mito del biker indistruttibile. Però è la pura e semplice verità, sono stanco. Mi tornano in mente tanti particolari di questa esperienza appena vissuta, i momenti difficili e i momenti spensierati, le risate, l’allegria e le ore trascorse con i piedi bagnati e congelati, ma ancora di più mi torna in mente “Lui” ed il grande regalo che mi ha fatto in questi giorni e ancora ieri sera a cena. Mi ha donato un Esempio.
Un esempio, se ci riuscirò, da imitare, o altrimenti solo da ricordare. Credetemi non è poca cosa. Il nome non ve lo dico, ma vi posso fornire alcuni indizi, Noi lo conosciamo tutti per i suoi fluenti capelli bianchi e per una patch cucita sul suo gilet. Sopra c’è scritto Historian e in questi tre giorni ci ha mostrato cosa significa. Mi raccomando statemi sani.
By Moschet.